Madonna del Corno
Madonna del Corno

Madonna del Corno

Questa località (dal dialetto corna cioè roccia, al maschile corem, sporgenza rocciosa a forma di corno) è posta sulla dorsale di Sopracorna del Monte Spedone ed è identificata dalla bianca cappella sacra dedicata alla Vergine Maria Assunta – visibile anche da molto lontano – è sicuramente una tra le più significative del territorio di Erve. Qui transita la mulattiera medievale proveniente da Rossino che per secoli fu l’unico collegamento (insieme al meno frequentato tracciato di Vicereola, dall’altra parte della valle) tra Erve e il resto della Valle San Martino. Recuperata nel 2015, questa mulattiera fu utilizzata almeno fino al primo decennio del Novecento, quando terminarono i lavori per la strada carrozzabile che ancora oggi collega Erve al resto del mondo. L’ardito tracciato fu scavato per lunghi tratti nella roccia della costa di Sopracorna e ancor oggi offre una vista “da brividi” sul profondo Orrido scavato dal torrente Gallavesa. Uno stretto e scuro canyon profondo fino a 150 metri nel quale il torrente si tuffa con alcune cascate meravigliose. Progettato da Egidio Palvis, celebre ingegnere del Genio Civile, costò ben 200.000 lire, una spesa ingentissima per quell’epoca. I lavori durarono otto anni e costarono la vita a cinque minatori, finché il 3 settembre 1911 venne inaugurata la nuova strada, poi asfaltata nel 1956. Il luogo è noto per la sua bellezza già a fine Ottocento quando lo storico Giovanni Pozzi, nel testo Guida alle Prealpi di Lecco (1883) lo denotava, scrivendo che «Molti sono i pittori che vanno fin lassù ad ispirarsi per le loro composizioni.» 

  • ROTA L., Carta dei senteri Val d’Erve, giugno 2015
  • GUGLIELMI E., GIASSI G. (a cura di), Valderve: immagini di una comunità, catalogo della mostra fotografica d’archivio, Erve 1986.
  • COLOMBO G., Santa Maria Assunta in ErveGuida alle chiese parrocchiali di Bergamo, n. 28, Bergamo 2008, pp. 62-63
  • CACCIA C., Nel canyon del Gallavesa, in “Orobie. Mensile di natura, cultura e turismo“, Bergamo, aprile 2011, pp. 38 sgg.